Self Publishing su Amazon: diritti d’autore o Partita IVA?

di Michele Aquilino
self publishing su amazon

Il Self Publishing è un’attività in rapida espansione. In espansione, però, sono anche i dubbi sul suo corretto inquadramento. Quando bisogna aprire Partita IVA? Quando si può parlare di royalties? Proviamo a fare chiarezza

Sempre più spesso, negli ultimi mesi, tanti giovani e meno giovani mi contattano per chiedermi se, per la loro attività di Self Publishing su Amazon, devono aprire la Partita IVA. Domanda a volte di facile soluzione. Domanda, altrettante volte, da un milione di euro. Questo contesto di assoluta incertezza con cui gli autori si scontrano ogni giorno nasce da un problema strutturale: ad oggi, infatti, non esiste una disciplina organica sul Self Publishing nella legge italiana.

Questa grave (e anacronistica) carenza normativa fa sì che ad oggi la gestione civilistica, fiscale e previdenziale di questa attività dipenda da una sorta di collage di varie norme da rinvenire qua e là. Manca dunque un riferimento di legge unitario che dia una chiave di lettura chiara ed organica alla gestione delle pubblicazioni online. Si tratta di una premessa doverosa, che faccio sempre a chi mi chiede un consiglio sulla propria situazione personale.

Ad ogni modo, però, abbiamo dei criteri su cui basare la risposta alla domanda che tutti i Self Publisher si sono fatti (molto più di) una volta nella vita: devo aprire la Partita IVA? La risposta sta nella natura dell’attività svolta. Bisogna infatti riuscire a distinguere fra queste due casistiche:

  • soggetto che agisce come mero autore;
  • soggetto che, sempre nell’ambito del Self Publishing, realizza una vera e propria attività d’impresa.

Dall’appartenenza alla prima o alla seconda casistica discende la direzione da prendere quando si giunge al bivio Partita IVA Sì – Partita IVA No. Nel primo caso, infatti, non hai bisogno di aprire la Partita IVA (e ti spiego perché nel mio precedente articolo). Nel secondo caso dovrai aprire la Partita IVA. Parlare di Partita IVA, anzi, è anche riduttivo, perché avviare un’attività d’impresa richiede ben altro.

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Come faccio a capire se il Self Publishing su Amazon costituisce attività d’impresa?

In generale – dunque non solo nel caso del Self Publishing su Amazon – sono principalmente due gli elementi che prendo in considerazione all’inizio per rispondermi alla domanda “chi ho di fronte?”. Non ti sto parlando di scegliere una veste giuridica (ditta individuale, società, nessuna delle due) o un regime fiscale (ordinari o speciali a seconda dei casi), ma di qualcosa che viene ancor prima. Quello che infatti dobbiamo chiederci è: come funziona l’attività su cui stiamo ponendo l’attenzione? Proprio in quest’ottica, i due elementi a cui accennavo sono i seguenti:

  • l’insieme delle attività svolte (cosa faccio in concreto nell’ambito del Self Publishing?);
  • la gestione degli introiti derivanti dall’attività (chi incassa? Cosa incassa? Come lo incassa?).

Cerchiamo adesso di dare delle risposte alle nostre domande. A seguito dei seguenti chiarimenti sarai in grado di capire finalmente in che modo inquadrare correttamente l’attività che svolgi.

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La valutazione delle attività svolte

Se ti occupi – da più o meno tempo – di Self Publishing su Amazon, sai bene che gli approcci a quest’attività possono essere diversi. In tal senso, anche a me capita di ascoltare quotidianamente le storie di chi sfrutta la piattaforma di Amazon per dare visibilità ad un proprio romanzo o a un saggio, scritto isolatamente e di proprio pugno. Allo stesso modo mi capita di ascoltare ragazzi e ragazze che mettono in piedi una vera e propria organizzazione. In che senso? Penso ad esempio ad attività come le seguenti:

  • condurre ricerche di mercato (analisi keyword e relativi contenuti web già esistenti);
  • ricorrere al lavoro di uno o più ghostwriter;
  • impiegare budget più o meno consistenti per promuovere le proprie pubblicazioni tramite uno o più canali di marketing (social, siti web, Google Ads ecc);
  • ricorrere all’aiuto di uno o più collaboratori per la gestione e il coordinamento di tutte le attività.

Caso A: devi aprire Partita IVA

In linea teorica, anche svolgendo una sola delle attività di cui sopra, si configura quella che viene detta organizzazione in forma d’impresa. Si tratta, in sostanza, di combinare più fattori produttivi (risorse umane ed eventualmente finanziarie) per realizzare un’attività finalizzata ad un ritorno economico. In questo caso sarà necessario aprire la famosa Partita IVA, ma non solo. La Partita IVA di per sé sarebbe forse la meno gravosa delle cose. Dovrai infatti anche trasmettere in Camera di Commercio la pratica ComUnica che serve a comunicare la nascita della tua impresa a:

  • Registro Imprese;
  • Agenzia delle Entrate;
  • INPS (Gestione Artigiani e Commercianti);
  • INAIL.

Puoi ben immaginare che questa corretta impostazione della tua attività comporti anche dei costi fissi che si ripetono ogni anno. Penso ai contributi INPS alla Gestione Commercianti, ai diritti camerali, agli eventuali premi INAIL (se ne ricorrono i presupposti). Anche il compenso del Commercialista inevitabilmente sale rispetto all’attività svolta senza Partita IVA, perché c’è una maggiore complessità dell’insieme di norme e adempimenti civilistico-fiscali da soddisfare. Ciò anche in base alla forma giuridica che sceglierai. Proprio l’ausilio del consulente può aiutarti a valutare la concreta fattibilità del tuo business: in altri termini, la reale convenienza dell’iscrizione in Camera di Commercio in base alla tua situazione personale. A occhio e croce partiamo da una base di non meno di 4000-5000 euro l’anno. Ma potrebbero essere di più, al variare di alcuni fattori.

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Caso B: non devi aprire Partita IVA

La situazione cambia radicalmente nel caso – raro rispetto al totale, me ne sto rendendo conto, ma comunque ancora molto frequente – in cui tu ti limiti a buttare giù il tuo libro. Punto. Fatto questo, scegli di fare Self Publishing su Amazon. In concreto quindi non hai collaboratori, non hai ghostwriter, non fai analisi di mercato perché scrivi il tuo testo sulla base della tua inventiva o di una tua passione, non investi capitali ma ti limiti ad utilizzare la tua capacità intellettuale. In questo caso, dove evidentemente i limiti sono molto labili e facili da abbattere (basta poco per passare dall’altro lato della barricata), puoi ritenerti un Autore puro e semplice. Niente di più, niente di meno.

Ciò che si viene a verificare è che hai realizzato un’opera e hai ceduto ad Amazon il diritto di generare introiti dall’utilizzo di questa opera a fini commerciali. Quali sono, in concreto questi diritti? Lo vediamo al punto 5.5 della versione attuale del contratto che ogni Publisher sottoscrive con Amazon KDP. Ad esempio, vengono concessi ad Amazon i diritti relativi a:

  • la stampa […] e la distribuzione dei Libri, direttamente e tramite distributori terzi“;
  • riprodurre, indicizzare e memorizzare i Libri su uno o più computer e di riformattare, convertire e codificare tali Libri“;
  • mostrare, commerciare, trasmettere, distribuire, vendere, concedere in licenza e rendere altrimenti disponibili in qualsiasi altro modo i Libri in tutto o in parte“;
  • mostrare e distribuire […] i vostri marchi e i loghi […] porzioni dei Libri“;
  • usare, riprodurre, adeguare, modificare e distribuire, nelle modalità che riteniamo appropriate e a nostra sola discrezione, qualsiasi metadato che ci fornite relativamente ai Libri“;
  • trasmettere, riprodurre e utilizzare in altro modo i Libri come semplici contenuti tecnologici allo scopo di rendere possibile quanto elencato sopra“.

Tutti questi diritti, che fin dalla nascita dell’opera appartengono naturalmente solo e soltanto a te in quanto Autore, vengono così legittimamente trasferiti (ceduti) ad Amazon. Ciò che si configura, dunque, è una cessione dei tuoi diritti d’Autore, correttamente regolata economicamente tramite il riconoscimento delle royalties di cui si parla diffusamente nel contratto.

In questo caso, in qualità di mero Autore che cede i suoi tipici diritti sull’opera, per la legge italiana non sei tenuto ad aprire Partita IVA. La legge infatti non ti vede come un imprenditore né come un libero professionista, ma come autore di un’opera intellettuale. Puoi trovare tutte le indicazioni sul corretto trattamento delle tue royalties nell’articolo che trovi cliccando su questo link.

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La gestione degli introiti nel Self Publishing su Amazon

Abbiamo capito quando la natura e il complesso delle attività svolte ci spiegano se dobbiamo o non dobbiamo aprire la Partita IVA. La risposta che cercavi, di fatto, l’hai già ottenuta. Ti invito però a porre l’attenzione anche su un altro aspetto secondo me molto importante. Si tratta, come ti dicevo prima, della gestione degli introiti. In altre parole, della gestione delle attività di incasso e di fatturazione legate alla monetizzazione di quei diritti commerciali sulle opere di cui parlavamo poco fa.

Logica vuole – ma anche la legge – che un’impresa generi dei ricavi legati alla vendita di beni o servizi oggetto della propria attività. Bene. Nel caso in cui, per le ragioni viste prima, tu avessi giustamente aperto la tua impresa per fare Self Publishing su Amazon, io dovrei aspettarmi che tu (da vero e proprio Editore, a questo punto, e non da semplice Autore) sia l’effettivo “titolare” delle vendite effettuate tramite la piattaforma. In altre parole, dovresti realizzare il 100% dell’incasso derivante da ogni singola copia venduta ed emettere fattura per ogni transazione nei confronti dei clienti che acquistano l’opera su Amazon. E Amazon? Amazon riceverebbe da parte tua una somma (fissa o in percentuale sul venduto) per averti “ospitato”, dato visibilità e aiutato a generare quelle vendite. Costi per pubblicità, in soldoni.

Tuttavia, purtroppo, il condizionale è d’obbligo. E già, perché sai bene che chi incassa il ricavato della vendita e fattura ogni singola transazione è la stessa Amazon. E del resto questa impostazione è quella prevista dal contratto. Si viene però a creare un ibrido fiscale, una sorta di mostro a due teste, che per l’attività che svolge (e conseguente corretto inquadramento civilistico e fiscale) è un’impresa, ma non produce ricavi d’impresa. Gli introiti infatti restano delle pure e semplici royalties, che nulla hanno a che vedere con l’attività d’impresa ma con lo sfruttamento di opere intellettuali che sono proprietà del solo Autore e non di certo di una Srl (altro elemento da dirimere con una certa attenzione). Ed è corretto parlare di royalties (come dice il contratto), perché si tratta del riversamento di percentuali sul venduto a fronte della cessione di tutti quei tipici diritti dell’Autore che abbiamo riportato prima.

Questo sistema di fatturazione ed incasso, dunque, risulta perfettamente compatibile con la figura del mero Autore, che non apre Partita IVA perché non realizza un’organizzazione d’impresa. È quanto si verifica nei casi tradizionali in cui uno scrittore demanda tutte le attività commerciali alla casa editrice, che riconosce all’Autore una percentuale sul venduto. Al contrario, questo sistema (l’unico previsto contrattualmente da Amazon) risulta totalmente insensato e scorretto nel momento in cui il Publisher agisce sotto forma d’impresa, dotata di una propria Partita IVA.

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Conclusioni

Al termine di questa lettura che ti ha portato via qualche minuto, hai capito diverse cose. Fondamentalmente, che molte delle cose che cercavi di comprendere adesso ti sono chiare, ma probabilmente si innestano dei dubbi nuovi ed inediti. Ormai ti è ben chiaro se e quando devi costituire la tua impresa, con tutti gli adempimenti annessi, oppure puoi evitarlo. Al tempo stesso però sai che, se ti trovi nel primo caso, effettivamente si viene a creare una situazione quantomeno anomala.

E qui torniamo dritti dritti al punto di partenza. Quella premessa fondamentale che segue costantemente come un’ombra il Self Publisher. Non c’è lo straccio di un testo normativo organico e completo prodotto ad hoc per il Self Publishing. E nel 2020, in Italia, è un po’ una vergogna. Non possiamo pretendere che chi di dovere si dedichi al Self Publishing mentre scrivo questo articolo, ossia nel bel mezzo di una pandemia, ma la verità è che bisognava arrivarci da un pezzo.

Questa lacuna giuridica genera un effetto principale, ossia quello di lasciare troppo spazio all’interpretazione. L’interpretazione, per come è fatto il nostro ordinamento giuridico, esiste anche solo in minima parte su ogni questione, sia chiaro. In questo caso, però, il raggio d’azione lasciato all’interpretazione è sicuramente troppo ampio. È solo e soltanto per questa ragione che hai sempre sentito – e continuerai a sentire, finché non si interviene in maniera strutturale – pareri discordanti. Anche quella che ti ho fornito in questo articolo non è altro che la mia chiave di lettura, maturata con ponderazione e prudenza sulla base delle mie competenze e conoscenze. Altri dieci consulenti potrebbero dare letture diverse, l’Agenzia delle Entrate un’altra ancora.

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Come se ne esce?

Ad oggi, di fatto, le possibili vie d’uscita sono due:

  • l’introduzione di una seria disciplina speciale del Self Publishing a livello normativo;
  • un ripensamento degli attuali schemi contrattuali da parte di Amazon.

In questo secondo caso, a mio modo di vedere, Amazon potrebbe ad esempio prevedere due tipologie di inquadramento a seconda di come il Publisher si qualifica: privato o impresa. Nel caso di un privato, il contratto e il metodo di fatturazione e incasso attuali sono corretti e non creano problemi. Nel caso di un’impresa, sarebbe opportuno prevedere che il Publisher fatturi direttamente le singole transazioni a tutti i clienti e incassi i corrispettivi per intero, riversandone una parte (che può essere fissa o variabile) ad Amazon per il servizio reso, che può avere una valenza sia promozionale che operativa.

Se da un lato (e spero di sbagliarmi) vedo il Parlamento italiano lontano anni luce dalla possibilità di partorire una normativa ad hoc, dall’altro credo che la stessa Amazon pensi fra sé e sé “a me sta bene così, il problema è il vostro“. Nel frattempo, dunque, non resta che cercare di adottare di volta in volta la soluzione più corretta. Forse dovremmo dire la meno sbagliata. E sperare che l’Agenzia delle Entrate operi con buon senso.

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