Whistleblowing: lavoratori liberi di segnalare gli illeciti del capo

di Sandro Susini
Whistleblowing

Enti pubblici e grandi aziende sono chiamati a tutelare i dipendenti che segnalano illeciti: ecco cosa fare per adeguarsi alle nuove norme. Segnalazioni crittografate e divieto di ritorsioni sui dipendenti. Si parte il 15 luglio.

Il D.Lgs. 24/2023 disciplina la protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione Europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato. Si tratta del fenomeno del Whistleblowing. La norma recepisce a sua volta la direttiva UE 2019/1937, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione.

Il D.Lgs. 24/2023 è meglio noto come Decreto “Whistleblowing, proprio in riferimento al termine di matrice anglosassone, che letteralmente significa “soffiare nel fischietto”. In senso lato, il whistleblower è dunque un “allertatore civico”, ovvero un soggetto che, attraverso la sua segnalazione, svolge un ruolo eticamente utile all’organizzazione (pubblica o privata) nella quale opera.

L’accezione positiva che ne deriva, come precisato dalla stessa Accademia della Crusca in tempi non sospetti, deve inequivocabilmente andare a distinguere il whistleblower dallo “spione” o “talpa” che dir si voglia. Difatti, proprio in quella sede viene a più riprese precisato come il termine in questione sia imprescindibilmente legato al suo tratto connotativo positivo di impegno civile, etico.

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Whistleblowing: quali sono le aziende e gli enti coinvolti

A livello soggettivo, la disciplina si applica alle seguenti tipologie di datori di lavoro:

  • soggetti del settore pubblico;
  • soggetti del settore privato:
    • che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
    • anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di almeno 50 lavoratori subordinati, rientrano nell’ambito di applicazione dei c.d. settori sensibili individuati dall’UE (ad es. servizi e prodotti finanziari; sicurezza dei trasporti e dell’ambiente);
    • sono diversi dai soggetti di cui al numero b), rientrano nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e adottano modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di lavoratori subordinati di cui al numero a).

La tutela dei soggetti “segnalanti” si applica invece a lavoratori subordinati, autonomi e collaboratori, liberi professionisti e consulenti, volontari e tirocinanti (retribuiti e non retribuiti), azionisti e persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche qualora tali funzioni siano esercitate in via di mero fatto.

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I nuovi obblighi: si parte dal 15 luglio

La nuova disciplina prevede che i soggetti del settore pubblico e i soggetti del settore privato, sentite le rappresentanze o le organizzazioni sindacali, attivino propri canali di segnalazione, che garantiscano, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione. Devono sostanzialmente essere predisposti dei canali di segnalazione opportunamente riservati che consentano al soggetto segnalatore di poter procedere in modo tutelato.

Tuttavia, in alternativa alla predisposizione degli strumenti da parte del datore di lavoro, è possibile – ma solo in via residuale – utilizzare una piattaforma esterna creata ad hoc dall’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione).

Le scadenze di legge per la predisposizione del suddetto canale e della relativa informativa sono le seguenti:

  • 15 luglio 2023 per enti pubblici e aziende private con più di 249 dipendenti;
  • 17 dicembre 2023 per le restanti aziende.

Stop alle ritorsioni sui lavoratori

I soggetti segnalanti non posso subire alcuna ritorsione. In tal senso il decreto fornisce un elenco, a titolo esemplificativo e non esaustivo, di atti che sono da considerarsi ritorsivi:

  • licenziamento;
  • sospensione o misure equivalenti;
  • retrocessione di grado o la mancata promozione;
  • mutamento di funzioni;
  • cambiamento del luogo di lavoro;
  • riduzione dello stipendio;
  • modifica dell’orario di lavoro;
  • sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa;
  • note di merito negative o referenze negative;
  • adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;
  • coercizione, intimidazione, molestie o ostracismo;
  • discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole;
  • mancata conversione di un contratto a termine in un contratto a tempo indeterminato;
  • mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto a termine;
  • danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media;
  • pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;
  • inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo (settoriale o industriale, formale o informale), che può comportare impossibilità di trovare un’occupazione;
  • conclusione anticipata o annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi;
  • annullamento di una licenza o di un permesso;
  • richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

Infine, ma non meno importante, si segnala che rinunce e le transazioni, integrali o parziali, che hanno per oggetto i diritti e le tutele previsti dalla normativa sul whistleblowing non sono valide, salvo che siano effettuate nelle sedi protette.

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